sabato 20 aprile 2024

Meloni rifiuti il prezzo dell'onore

Nel corso della mia lunga carriera giornalistica, accompagnata sempre dall’etica scolastica di docente, che mi rende diverso dai giornalisti-giornalisti, sono stato querelato più di una volta come direttore di un periodico locale per diffamazione a mezzo stampa. In tanti anni di esercizio, ben 39, può capitare. Il più delle volte la denuncia era speciosa. Il querelante, che era sempre il partito comunista, per decisione dei suoi dirigenti locali, non era per niente convinto, ma si costituiva parte civile lo stesso. Salvo poi a proporre la remissione di querela davanti al giudice. Accettare voleva dire comunque pagare l’avvocato e le spese processuali, che in lire potevano raggiungere il milione. Perché un simile incomprensibile atteggiamento? Per la semplice ragione che lo scopo dei querelanti era di infliggere al giornale un danno economico, che voleva dire la crisi del giornale e la chiusura. Si dirà, ma che c’entrano simili piccolezze a fronte di una querela, per esempio, della leader di un partito e poi premier nei confronti di un mostro sacro della cultura? Si parva licet… Veniamo al dunque. Giorgia Meloni, quando ancora non era premier, fu definita dal professor Luciano Canfora “neonazista nell’animo”, “poveretta”, “pericolosissima” e “mentecatta”. Qui non c’è niente da dimostrare, né da interpretare. Si tratta di ingiurie, violente, categoriche, giunte alla destinataria come mazzate. Diffamanti? Non lo ha creduto gran parte degli italiani che l’ha voluta Presidente del Consiglio dei Ministri. Alla faccia di Canfora. Meloni non è accusata di aver compiuto qualcosa di disdicevole che lei non ha compiuto, allora sì che ci sarebbe stata diffamazione, è stata solo ingiuriata da un avversario politico, benché di lusso. Buon senso vuole che ognuno si astenga dal suggerire alla Meloni le parole giuste, posto che ne abbia bisogno, per saldare il conto con Canfora sullo stesso piano, occhio per occhio, dente per dente. Che si può fare, allora, di fronte a simili offese? Penalmente, mettere in carcere un vecchio ultraottantenne? Non lo vuole la legge e non lo vuole neppure la Meloni. Civilmente, fargli sborsare 20mila euro? Tanto vale in Italia l’onore del capo del governo in carica? La questione potrebbe essere risolta nel più banale dei modi: Canfora si rende conto di aver sbagliato, chiede scusa e dichiara solennemente che non pensa affatto che la Meloni sia quella da lui sconsideratamente definita; Meloni, da parte sua, ritira la querela e alla fine un bel selfie e applausi da tutti e per tutti. Ma Canfora probabilmente non ci sta, forte del suo rango culturale e di tutta la claque che gli sta attorno, fatta di comunisti mai pentiti ma non più gradassi e spocchiosi. I comunisti vanno capiti. Hanno goduto in Italia di importanti privilegi, tenuti in gran considerazione, grazie al fatto che avevano sconfitto il fascismo e il nazismo. Erano quasi lì lì per mettere le mani sul potere quando sono precipitati giù come il disgraziato Sisifo. Di qui la rabbia che acceca perfino persone di elevato rango culturale come Canfora. Purtroppo c’è poco altro da fare, per non dire che da fare non c’è un bel niente. Questo, come tanti altri similari episodi, ricorda un raccontino del filosofo greco del II sec. d. Cristo Luciano di Samosata. Toh, ha lo stesso nome di Canfora. Narra il filosofo che Menippo di Gadara muore e si presenta davanti al guardiano del regno dei morti. Come di prassi questi gli chiede la monetina per farlo passare dall’altra parte, ma quello non ce l’ha. E, allora, gli risponde agitato il guardiano, senza monetina non ti faccio passare. Ah no? gli replica quello. E allora, benché morto, resto da questa parte coi vivi. Quale il senso di questa storiella? Che ci sono situazioni che la legge stessa impedisce di risolvere. Luciano Canfora-Menippo si rifiuta di pentirsi, tanto non gli si può far nulla. E alla Meloni non resta che lasciar perdere con tutte le ingiurie ricevute. Ma su Luciano Canfora, onorato e colto cittadino, non è finita. Resta da chiedersi perché un paese come l’Italia, che ha tanta bella gente come lui, ha poi una Presidente del Consiglio come Giorgia Meloni. La quale, per fortuna, è ben lontana dall’essere come i Canfora e gli a lui assimilabili la considerano. Se fosse quel democratico che dice di essere, Canfora dovrebbe avere più rispetto per la volontà del popolo espressa come la legge ha voluto. Socrate per coerenza e rispetto della legge preferì bere la cicuta. A Canfora non si chiede di bere neppure un po’ di rosolio se gli resta sullo stomaco, ma di ammettere che certe cose non si dicono, non solo e non tanto perché non sono vere, ma principalmente perché offensive di un intero paese.

martedì 16 aprile 2024

Maternità e valori sovvertiti

A Milano la Commissione del Comune e della Soprintendenza delle Belle Arti ha respinto la proposta di collocare in piazza Duse una statua della scultrice milanese Vera Omodeo, raffigurante una donna a seno scoperto che allatta un bambino. La motivazione è che «rappresenta valori rispettabili ma non universalmente condivisibili». C’è da non credere ai propri occhi ed orecchi. Il titolo dell’opera è «Dal latte materno veniamo». Cioè: in questo paese, a stragrande maggioranza cattolico, non è universalmente condivisibile il fatto che tutti veniamo dal latte materno. Meglio, in verità, sarebbe stato dire: dal seno materno, visto che oggi i bambini, quei pochi che nascono, possono essere allattati con latte diverso. Ma quello che conta non è il significato letterale, bensì quello simbolico, valoriale. La maternità non è più un valore condivisibile. Ciò che la rappresenta, anche un’opera d’arte, venga perciò nascosta, meglio se fatta sparire. Le tante opere d’arte che nel corso dei secoli hanno rappresentato la maternità possono prendere la via degli scantinati dei musei; i loro autori il dimenticatoio. Oggi sono un’offesa. Esporli è una provocazione nei confronti di chi non ne condivide contenuto e significato. Quello che è stato da millenni un valore naturale, sacro e indiscutibile, siamo tutti figli di mamma, oggi non lo è più. Ecco, questo è ciò che oggi vogliono imporre quelli che una volta erano quattro gatti, che chiedevano di essere tollerati, poi accettati, in seguito rispettati, oggi dominanti al punto da far passare gli altri dalla parte dei nuovi discriminati, da tenere sempre più in spazi angusti di sopportazione. Sono quelli che rappresentano la comunità Lgbt, in continua crescita in numero e varietà di specie, in continua crescita di potere, i nuovi discriminatori. È per rispettare il loro indiscusso dominio che oggi si nega a che un’espressione artistica di fine e alto valore venga esposta in pubblico a ingentilire un luogo urbano e a rafforzare un principio di appartenenza. Qualche anno fa i difensori di questa comunità sostenevano che non c’era nulla di male e che nessun danno avrebbe ricevuto la società dei “normali” a rispettarne i singoli membri. Ma, in fondo, a te che fastidio danno i gay, i trans, le coppie omosessuali? Questo chiedevano retoricamente essi e i loro difensori. Che danno? Ecco: il rovesciamento dei valori su cui si fondava la nostra civiltà. Fino a doversi vergognare dei più alti e sacri simboli che hanno accompagnato nei millenni l’umanità. Non è ancora chiaro? Qualcuno ancora ha dei dubbi sull’esito della partita? Il Presidente del Senato Ignazio La Russa, dall’alto del suo laticlavio, ha proposto di “nascondere” la statua in Senato. Se consideriamo chi è stato e chi è Ignazio La Russa, che non difende l’universalità del simbolo della statua, ma gesuiticamente ne elimina la questione, abbiamo chiara la situazione del disastro morale. Un’altra proposta è di “nasconderla” nel giardino della clinica Mangiacalli. Presto qualcun altro proporrà il cimitero monumentale. Forza, gente, forza, proponi altri nascondimenti! L’ipocrisia non è stata mai in svantaggio con la sincerità. Ma se una statua può essere motivo di contestazione e divisività, che accadrebbe se si vedesse in natura una donna allattare in pubblico il suo bambino? Siamo passati da quando le donne tiravano fuori con fierezza le mammelle e allattavano ovunque si trovassero i loro bambini alle donne che si vergognano della maternità, come se avessero commesso un delitto. Siamo passati da quando le donne andavano in giro tirandosi dietro quattro-cinque pargoletti, uno attaccato all’altro e il primo alla gonna della mamma, ad oggi con le donne che provano fastidio a farsi vedere mentre spingono un lussuoso passeggino, adempimento che quasi sempre lasciano ai mariti, i soli che ancora esibiscono con orgoglio i figli. Qui non si tratta più di mode, non è questione di gonna lunga, corta o mini, qui si mettono in discussione le leggi di natura, di civiltà. Oggi si ritiene che la maternità è rispettabile ma non universalmente condivisibile. Se il trend continua finirà che la maternità diventerà esecrabile e punibile, che si darà la caccia alle donne gravide come una volta alle streghe. E quel che è peggio è che a tutto questo si arriverà per il collasso morale e ideologico dei cosiddetti normali, di quelli che dovrebbero battersi per il trionfo dei valori millenari. Anche tu…, disse Cesare a Bruto che si apprestava a pugnalarlo. La storia si ripete sempre, anche se in modi e forme diversi.

sabato 6 aprile 2024

Sul caso Ilaria Salis...i soliti italiani

Ilaria Salis è un’insegnante di Monza, comunista di trentanove anni. Amava passare i weekend andando in giro per l’Italia e l’Europa a menar le mani dove c’erano fascisti o nazisti da pestare. Lo faceva in maniera professionale, con un manganello retrattile che teneva nello zainetto e con l’equipaggiamento dei picchiatori nomadi. Era già finita nelle attenzioni della polizia italiana ed era stata già condannata per quei reati tipici degli scontri di piazza, resistenza a pubblico ufficiale et similia. L’anno scorso, con altri comunisti italiani, arrivò fino a Budapest, in Ungheria, dove ogni anno si svolge una manifestazione patriottica, il «Giorno dell’Onore», per ricordare la fermata dell’Armata Rossa da parte di alcuni reparti nazisti nel corso dell’ultima guerra mondiale. L’Ilaria fece quel ch’era andata a fare. Aggredì il corteo dei neonazisti e si azzuffò con loro. Fu arrestata dalla polizia intervenuta per riportare l’ordine pubblico. Da allora è in carcere. Quando va in udienza, una poliziotta la tiene al guinzaglio, mani e piedi incatenati. Lei guarda di qua e di là come incredula e smarrita; a tratti accenna un sorriso, con l’aria non di una sofferente ma di una compiaciuta per trovarsi al centro di tanta attenzione. La popolarità, si sa, piace e si comprende benissimo che possa piacere anche a lei, a cui lo starsene quieta quieta in casa, con tutto quello che c’è da fare, compresa la preparazione delle lezioni se, come si dice, è un’insegnante, non piace proprio. Ma, fatti suoi! Ognuno cura i suoi hobby. Di fronte al caso l’Italia si è divisa tra salisiani (attenzione alla i) e antisalisiani. I primi in gran parte li trovi negli studi televisivi, indignati d’ordinanza, a disquisire sui diritti umani; i secondi nei bar a sparare, tra un caffè e uno spritz, bordate contro la Salis, che se l’è andata a cercare. I primi sono incazzati perché il governo non fa niente per liberarla e ricondurla trionfalmente a casa, onusta di gloria; i secondi sono indifferenti ed anzi non disdegnano l’idea che se la possano tenere in carcere fino alla condanna e alla pena. Ça va sans dire, i primi sono di sinistra, i secondi di destra. Poi c’è un padre, che sembra una gran bella persona, dicono, di idee diverse da quelle della figlia, tanto per stare nella forbice. È disperato perché le autorità ungheresi non ne vogliono sapere di concedere all’Ilaria gli arresti domiciliari. Si è rivolto al governo, presieduto da Giorgia Meloni, che è in gran simpatia col suo omologo ungherese Orban, convinto che se la premier italiana gli chiede un favore quello glielo fa, come se si trattasse di una questione tra due capetti della Magliana. Il governo ha fatto i suoi passi nell’assoluta correttezza. I salisiani lo rimproverano di stare più con quelli del bar che con quelli della televisione e di non fare nulla di concreto per liberare l’Ilaria. Il padre si è poi rivolto al Presidente della Repubblica, il quale ha promesso di interessarsene ma sempre attraverso il governo. La situazione non sembra smuoversi, almeno per ora. Tutto quello che si è riusciti ad ottenere sono migliori condizioni igieniche del luogo di detenzione e la possibilità di telefonare a chiunque. Questi, più o meno i fatti. Li conoscono tutti, si dirà, ma repetita juvant. Quel che dovrebbe mettere tutti d’accordo in Italia non è tanto la liberazione di una connazionale detenuta in Ungheria ma il rispetto delle norme europee in materia di detenzione dal momento che all’Ungheria fu concesso l’ingresso in Europa previa conformazione alle sue norme anche in materia di diritti civili. Non è per questo che la Turchia è tenuta fuori? Ci può pure stare che per un tafferuglio metti in prigione una persona, non è ammissibile che quel detenuto venga trattato come un animale, lo esibisci in catene e dopo un anno di detenzione gli neghi gli arresti domiciliari per un reato, la scazzotatura, che in Italia non viene nemmeno rubricato. In un qualsiasi altro paese europeo la Salis sarebbe stata espulsa il giorno dopo e nel frattempo avrebbe organizzato qualche altra spedizione, sempre a pestare fascisti e nazisti. In compenso nel Pd si parla di candidare la Salis e di farla eleggere al Parlamento Europeo. La Schlein per ora dice che la cosa non è in campo. E se mantiene il punto fa bene. Un partito come il Pd non può puntare su candidati improvvisati, come faceva il Partito radicale di Pannella. Già ha perso la tramontana. Se continua sulla strada del candidato alla “Cucchi” dà al suo elettorato un messaggio negativo. I suoi elettori, salisiani o meno, non gradirebbero e sarebbe per il Pd l’ennesimo errore di valutazione della natura degli italiani. Quale dote porterebbe la promessa sposa Ilaria Salis? Il manganello nello zaino. Ma il manganello non era di destra?

domenica 31 marzo 2024

La lezione di Bari

Chi vive in terra di mafia – e la nostra è terra di mafia – sa che è difficile se non impossibile rimanerne immuni. È come stare dal mugnaio senza infarinarsi. Ognuno sa che con la mafia o si è di qua o si è di là. Tertium non datur. In politica, però, ci può essere anche il tertium. Un po’ di anni fa in un bar del mio paese un sospettato locale mi offrì un caffè, come si usa fare per atavico costume. Gli dissi che da lui non lo accettavo. Calò il gelo e tutti i presenti, che quel caffè lo avevano accettato e sorbito, si guardarono sospetti. Posso dire che per questo non sono stato mai sfiorato dalla mafia? No. In tutta onestà non lo posso dire, anche se non so né come né quando sia accaduto. Qualche anno dopo il tipo me lo ritrovai sindaco con tanto di fascia tricolore che mi univa in matrimonio. Mi porse la mano, ricambiai per non incorrere in vilipendio di pubblico ufficiale. Il caso di Bari è emblematico. Le massime autorità politiche e amministrative della Città e della Puglia ammettono che nella nostra regione c’è la mafia e che è potente. Tanto potente che se c’è un po’ d’ordine a Bari è perché comanda lei. Ha detto lo storico medievista Franco Cardini, che all’Università di Bari ha insegnato per sei anni nella seconda metà degli anni Ottanta, intervistato da un giornale, che “Dove la malavita impera l’ordine è massimo, […] perché il criminale per potere operare ha bisogno di ordine, di tranquillità. È un potere parallelo che deve agire”. Decaro è andato in giro con un faldone da guinnes dei primati per dimostrare quello che tutti sanno, che lui si è sempre distinto in questo alto impegno civile e che perciò vive con la scorta. Il presidente della Regione Emiliano ha voluto strafare per dimostrare che lui la mafia non solo l’ha combattuta da magistrato ma la tiene in pugno come uomo delle istituzioni, presentandosi a casa di una sorella di un noto boss in carcere per “raccomandare” il rispetto di Decaro quando questi era assessore ed era stato minacciato. La verità che vien fuori è che a Bari la mafia e la pubblica amministrazione hanno trovato un entente cordiale nonostante l’impegno sia di Decaro che di Emiliano di combatterla. L’arresto di più di 130 persone, in vario modo legate alla pubblica amministrazione, è più che sufficiente per non avere dubbi su questo. Cercando nei rigagnoli della società minuta, troviamo una funzionaria della prefettura che si rivolge ad un mafioso per avere l’auto che le era stata rubata. Che cos’è, non è forse mafia? Due vigilesse, che si rivolgono ad un mafioso per fare giustizia di un’offesa ricevuta da un balordo, che cos’è? Via, non facciamo finta che certe cose non le sappiamo. E chissà quanti altri casi di mafiosa quotidianità! Il riconoscimento alla mafia o alla malavita di una funzione “giudiziaria” è la prova più grave che la mafia scorre nelle vene e nelle arterie della società come il sangue nel corpo umano. Siamo in campagna elettorale e Decaro è candidato alle Europee per il Pd. Lui dice – e con lui l’universo del centrosinistra – che l’iniziativa degli ispettori del Ministero degli Interni per vedere se ricorrono le condizioni per lo scioglimento del Consiglio Comunale cittadino, è un atto di guerra, compiuto dal centrodestra che è al governo, mirato a colpire le forze politiche del centrosinistra, che senza l’ispezione ministeriale avrebbero vinto in scioltezza le elezioni. L’ex magistrato di Mani Pulite, Antonio Di Pietro, in un’intervista ad un giornale sul caso Bari, ha detto che l’ispezione è stato un atto doveroso e che “a Decaro hanno aperto la strada per una sicura elezione alle Europee”. Se queste sono le premesse ha ragione Di Pietro. Lo si è visto nella grandiosa manifestazione di solidarietà a Decaro da parte della popolazione di Bari. È la stessa dell’entente cordiale di cui si parlava. Se Decaro ha combattuto la mafia – e l’ha combattuta! – ed essa ha prosperato, come si riconosce, vuol dire che a Bari c’è una pax, in nessuna parte certificata, che garantisce reciproco vantaggio. Un qualsiasi cambiamento potrebbe scatenare reazioni imprevedibili fino al ritrovamento di un nuovo equilibrio, come è successo nel passato. Perché la mafia – lo dice la sua storia – se non puoi batterla te la devi fare amica. Veramente è pensabile che se a Bari vince il centrodestra, sim sala bim, la mafia sparisce, l’ordine regna come nella mitica età dell’oro? Non si tratta di essere rassegnati a dover convivere con la mafia ma di avere la consapevolezza che la mafia è nelle piccole e nelle grandi operazioni. Per batterla bisogna iniziare proprio dalle piccole. Se ti rubano l’auto, vai dai Carabinieri. Se ti offendono o minacciano, vai all’avvocato. Cercare scorciatoie con certa gente è delittuoso due volte, tanto più se rappresenti le istituzioni.

sabato 23 marzo 2024

Ci stiamo sottomettendo

A Pioltello, nell’hinterland milanese, un istituto scolastico inferiore ha deciso di chiudere la scuola per un giorno per festeggiare la fine del Ramadan (digiuno) secondo tradizione islamica. La ragione è che in quell’istituto la popolazione scolastica è divisa quasi fifty-fifty tra islamici e cristiani. Il ministro Matteo Salvini, leader della Lega, ha fatto l’ennesimo tweet indignato e ha rimediato gli ennesimi insulti. Il ragionamento che vien fatto è di una semplicità elementare: gli islamici nel corso dell’anno osservano tante tradizioni cristiane: Natale, Pasqua e feste comandate; è giusto che i cristiani almeno una volta all’anno osservino quelle islamiche. Che siamo in Italia e non in un paese arabo è un dettaglio di nessun conto. Gli islamici hic sunt et hic manebunt optime. Lo dico senza ironia o doppio senso: che sia giusto non so, che così è ormai è fuori discussione. C’è una slavina ideologica che vien giù e volerla fermare con le mani, come fa Salvini, è ridicolo oltre che pericoloso. Dico slavina perché se Salvini si guarda intorno non vede che gente indifferente, che anzi ritiene normale se non auspicabile che il Paese vada verso una direzione multiculturale, multietnica, multitutto. E poco o pochissimo conta che anche un Giovanni Sartori, politologo illustre, era contrario alle multicose. I grandi cambiamenti iniziano sempre così. All’inizio si dice: ma cosa vuoi che sia qualche islamico in Italia! A te personalmente che fastidio o danno ti fa se due maschi o due femmine, coppie di fatto, adottino un bambino? E così via con altre aperture o licenze, permessi e tolleranze, a volte contrarie alla legge. Ma, siccome il cervello è fatto per pensare, a volte bene a volte male, sono sempre punti di vista, mi chiedo se per caso di qui a qualche anno, sempre per il principio che ognuno ha diritto al rispetto delle proprie tradizioni, lo stesso non accada per tante altre tradizioni islamiche, compresa la bigamia, compresi i matrimoni combinati e tante altre abitudini che non solo sono diverse dalle nostre ma con le nostre confliggono. Allora si dovranno fare due costituzioni, una per gli italiani e l’altra per gli stranieri. Perché qui, in Italia, non è consentito avere due mogli, massimo qualche amante, mentre per gli islamici è a disposizione l’harem se se lo possono permettere. A Monfalcone, provincia di Gorizia, a due passi dal confine con la Slovenia, si ha l’impressione andando in giro di trovarsi a La Mecca, tanti sono gli arabi, regolarmente vestiti all’araba, che s’incontrano per strada, in piazza o nei locali pubblici. Già qualche italiano incomincia a vivere un po’ di disagio vestito alla europea. Ci sono luoghi di grande aggregazione, come piazze e stazioni ferroviarie, che sono talmente piene di gente di colore (termine lessicalmente modificato) che tu pensi, come primo impatto di essere in Africa, come successe a me qualche anno fa uscendo dalla stazione di Brescia per andare a fare il commissario alla maturità in una scuola di colà. Lo spettacolo è indecoroso: persone di colore sdraiate sotto gli alberi, altre sui muretti, altre affaccendate in non si sa quali confabulazioni. Nel bel paese, famoso nella storia e nel mondo, per il gusto estetico e le opere d’arte, passano come situazioni normali scene che deturpano, a prescindere da ogni altra considerazione, il paesaggio urbano. Il processo di deidentificazione non si ferma per ora, non è neppure contrastato, anzi. Chi accenna a qualche flebile lamento è tacciato di razzismo, di fascismo e di non so quanti altri reati d’opinione. Si va verso un paese completamente diverso, che diverrà, se già non lo è, estraneo alla nostra storia, alla nostra civiltà. C’è voluto del tempo, tante tragedie nazionali, tante resistenze, ma alla fine siamo sulla strada giusta, in direttiva d’arrivo. Non è solo l’Italia in gioco, evidentemente, ma l’intera Europa occidentale. L’Europa laica, da anni ormai soggiogata alla cultura francese, che rifiuta le radici cristiane, sta facendo tabula rasa delle peculiarità nazionali, della bellezza delle sue contrade, sta svendendo il suo immenso patrimonio di civiltà alle economie globalizzanti e in cambio di merci e di soldi punta a fare un solo mondo. Ci dobbiamo tenere tutti gli stranieri nei nostri paesi, quanti ne arrivano arrivano, per gli interessi che abbiamo noi europei nei paesi della loro provenienza. Ora, quando si è davanti a fenomeni del genere, si può anche essere per il quieto vivere. E mo’, le cose vanno così, pazienza! Eh no. La storia dice, non insegna, perché non insegna un bel nulla, che tutti i fenomeni degenerativi, prima o poi, esplodono nel disastro.

sabato 16 marzo 2024

Comunisti? Punto e daccapo!

Un indizio è un indizio, diceva Agatha Christie, due indizi sono due indizi, tre indizi sono una prova. A distanza di oltre mezzo secolo gli studenti di sinistra, chiamiamoli così, pur sapendo che non tutti sono studenti, hanno occupato le università. Entra e parla chi vogliono loro, gli altri se ne vanno con la coda fra le gambe per evitare il ritorno alle spranghe di ferro e alle chiavi inglesi. Ma se continuiamo di questo passo si arriverà anche questa volta agli scontri violenti. E allora la colpa sarà come sempre dei fascisti, tanto più che oggi sono al governo. Ne ha dato prova la professoressa dell’Università La Sapienza di Roma Donatella De Cesare, la quale ha chiamato squadristi alcuni giovani che in silenzio prima di una lezione le hanno fatto vedere i volti di quelli ammazzati dalla terrorista Balzerani della quale lei, in occasione della di lei morte, aveva detto di aver condiviso la stessa rivoluzione. Erano giovani innocui di Forza Italia, niente da paragonare a quelli che prendono di peso e cacciano via l’indesiderato ebreo o fascista dall’università, dalla scuola o dalla piazza. Questa volta la motivazione delle occupazioni è la Palestina, che a loro pensamento merita di occupare tutto il territorio dopo aver buttato nel Mediterraneo e nel Giordano tutti gli ebrei, i maledetti ebrei. È toccato al giornalista Davide Parenzo essere impedito di parlare, poi al direttore di “Repubblica” Maurizio Molinari. E sempre per lo stesso motivo: siete ebrei! Non ne avete il diritto! E dire che tutti questi padroni del campo sono sono vissuti di rendita in tutti questi anni con la Shoah e tutto il resto dell’armamentario sionista. Ai paradossi delle sinistre siamo ormai abituati. Ti pestano i piedi e ti accusano di aver messo i tuoi piedi sotto i loro. Manco il comico Franco Franchi nella scena di un film parodistico sul far west. È violenza solo quella che subiscono loro, quella che producono loro è manifestazione di libertà. Se in qualche università interviene la polizia per far rispettare la legge e la libertà di tutti e vola qualche manganellata ecco che insorgono le sinistre cosiddette democratiche, legalitarie a dar man forte ai violenti e agli estremisti. È un gioco che conosciamo molto bene. La giustificazione ce l’hanno, è sempre la stessa: hanno vinto, erano dalla parte giusta, per cui chi era dalla parte sbagliata deve tenersi le violenze e le angherie come cosa normale, democratica, pedagogica. E se le mazzate le prendono sul groppone, devono stare zitti, perché la colpa di chi li pesta è sempre loro che continuano a voler stare ancora dalla parte sbagliata. Questi maestri del pensiero distorto nulla dicono sull’aggressione russa all’Ucraina. Sono nostalgici della Russia sovietica e in Putin vedono il loro Stalin, il loro Kruschev, il loro Breznev. Hanno fermi gli orologi al mito del comunismo universale, a Trotzky. Si scoprono ammiratori di papa Francesco, che invita gli ucraini ad alzare bandiera bianca davanti alla Santa Madre Russia e inneggia al cristianesimo pauperista che per silloggismo d’osteria s’identifica col comunismo. Non sono rigurgiti i movimenti estremisti di sinistra dei giorni nostri. Ormai i centri sociali sono presìdi urbani fissi che all’occorrenza scatenano violenza, oggi assai più motivati di quelli di ieri, forti delle truppe Lgbt, femministe ed anarchiche. Essi non hanno mai smesso di tenere le città in disordine, di infrangere vetrine, di bruciare auto, di minacciare anche fisicamente le persone. Per ora le cose sono sotto controllo, neppure se ne parla di interventi per riportare l’ordine e la libertà nelle università. Probabilmente è il prezzo da pagare per evitare che l’intervento legittimo, doveroso, delle forze dell’ordine crei nuove speculazioni politiche. Ma se puta caso qualche esponente del centrodestra volesse tenere una conferenza in qualche università occupata che accadrebbe? Quello che accadde alcuni mesi fa quando gli studenti estremisti impedirono di parlare al giornalista Capezzone. Intervenne la polizia e volarono le manganellate. Subito si gridò alla repressione del governo, non degli studenti occupanti. Un governo, come quello di Giorgia Meloni, è nato con lo stigma della forza, per cui basta qualche manganellata della polizia a difesa della legalità che subito si grida al lupo al lupo fascista. C’è sempre chi ascolta gli allarmi e li traduce in polemiche contro il governo. Che di fronte a sé ha due strade: non fare niente in difesa della legalità, ed è il quieto vivere; o fare quel che deve fare, ed è il…fascismo. Scegliete voi.

sabato 9 marzo 2024

Imprese d'Italia: dossieranti e dossierati

A parti invertite, cosa avrebbero detto le sinistre a proposito del dossieraggio su personalità prevalentemente di centrodestra se i dossierati fossero stati prevalentemente di centrosinistra? Non sappiamo, ma possiamo immaginarlo. Avrebbero gridato all’avanzato stadio di autoritarismo fascista da parte del governo Meloni, tra spionaggio e manganellismo, e avrebbero gridato all’Ovra e ai tribunali speciali. Invece si sono limitate a dire, un po’ imbarazzate, che non si tratta di dossieraggio. Nooo? E allora, di che si tratta, di raccolta di figurine Panini? La famosa casa editrice sta lanciando una nuova raccolta, quella dei politici e dei personaggi del centrodestra? Se è così, mi prenoto per un album da riempire. Le spiate risalgono a pochissimi anni fa, quando si profilava per la destra una crescita importante. Fino a quel momento il centrosinistra si era sentito al sicuro. Era bastato l’antifascismo a renderlo invulnerabile. Ma quando si accorse che Annibale era alle porte, pensò subito di correre ai ripari. Il mezzo più collaudato per fermare il centrodestra, contro cui l’arma dell’antifascismo era spuntata, era lo spionaggio, lo scandalo, l’inchiesta giudiziaria. Il resto sarebbe venuto da sé. In quest’operazione, oltre alla solita talpa, si è particolarmente distinto il quotidiano “Domani” dell’ing. Carlo De Benedetti, il quale ad un certo punto licenziò il troppo molle Stefano Feltri e ingaggiò alla direzione il duro Emiliano Fittipaldi, esperto giornalista d’inchiesta. Chissà perché De Benedetti ce l’ha tanto con la destra da investire un po’ di soldi per fondare un giornale destinato a scomparire entro…domani. Fu nell’ambito dell’odio debenedettiano che uscirono alcune indiscrezioni sulla mamma e il papà di Giorgia Meloni, poi finite in un nulla di fatto. Chi sa di politica non si sorprende più di tanto. La politica è guerra senza armi. E un detto francese vuole che “à la guerre comme à la guerre”. Quando a scuola si studiava la storia lo sapevano tutti che era così da sempre e nessuno si stupiva di un colpo scorretto, di una promessa non mantenuta, dell’uso dei giornali, della propaganda, non per informare ma per malformare. Oggi non ci sono in Italia grandi leader politici. Ogni tanto ce ne ricordiamo. Ci sono i surrogati. I veri leader sono le Gruber, le Berlinguer, i Floris, i Porro, i Giordano, gli Amadeus, i maestri del fumo e dei fumogeni. Ma guai se glielo dici o glielo fai lontanamente capire. Sono talmente permalosi da scatenare una rissa in diretta, arroccandosi dietro la libertà dell’informazione e della loro neutralità adamantina, perché questa gente è davvero convinta che gli altri sono così allocchi da non capire con chi hanno a che fare. Ora, raccogliere notizie sui singoli cittadini è normalissimo compito degli organi preposti in una cornice di legalità. Lavorano per la sicurezza dello Stato e dei cittadini. A maggior ragione sono attenzionati i politici, i quali, nel bene e nel male, quel che fanno interessa l’intera nazione. Niente perciò di cui meravigliarsi se si scoprono i dossier. Ma si dà il caso che nella fattispecie i mandanti a spiare gli uomini del centrodestra non sono proprio quelli dell’intelligence di Stato, ma forze politiche avversarie, e le notizie non le raccolgono per la sicurezza nazionale, ma per colpire avversari politici. E allora, pur senza farci venire mal di cuore per la rabbia, osserviamo che quando la lotta politica arriva a questo punto la situazione è grave. Matteo Renzi, vittima del dossieraggio in parola, ha evocato, come fece Giacomo Matteotti cento anni fa alla Camera per ben altri soprusi, le metodiche in uso delle dittature sudamericane. Non è ammissibile che in democrazia si possa colpire un avversario politico con armi improprie come la delazione e la diffamazione realizzate attraverso attività illecite. Quando ciò accade gli argini stanno per cedere. L’Italia, che troppo spesso cita le sudamericanate per stigmatizzare certi comportamenti, farebbe bene oggi a prendere di petto questo problema prima che il poco gradito marchio d’eccellenza passi dal Sud America a lei. I cittadini devono sentirsi al sicuro dalla vigilanza delle forze di sicurezza e non esposti a sempre possibili sputtanamenti o ad accuse il più delle volte inventate che, però, prima di dimostrarlo che sono inventate, producono guasti. Che tra gli spiati ci fosse anche qualche sparuto personaggio non riconducibile all’area politica di destra e alcuni rappresentanti del mondo dello spettacolo e dello sport, che nulla c’entrano con la politica, può far pensare ad un tentativo di depistaggio. E infatti Giuseppe Conte, tra i pochi “attenzionati” non di destra, ha detto: e allora io?